Processo ad un uomo, processo all'Italia
Il processo Andreotti è stato, non a torto, uno dei più importanti processi italiani del secolo scorso, un processo al nostro sistema politico, lo Stato che processa se stesso. E' forse la prova regina del fatto che la nostra costituzione ci garantisce una magistratura, in teoria, libera che può permettersi di opporsi alla classe politica: la separazione dei poteri.
Ho scoperto leggendo il libro di Bruno Tinti, La questione immorale, che questa netta divisione dei poteri, questa indipendenza, regalo dei nostri padri costituenti, non è caratteristica comune ad altri paesi, anzi è rara nei paesi europeri e in generale nel mondo.
La nostra Costituzione, figlia della nostra resistenza, pagata a caro prezzo con il sangue, è veramente un esempio di altissima giurisprudenza, migliore di ciò che possiedono tutti i paesi europei.
Purtroppo l'alta vetta toccata dai componenti della costiutente nel dopoguerra è stata rapidamente abbandonata, fin da subito, se si pensa che Andreotti è in politica fin da allora. Lui è l'icona più rappresentativa della politica italiana degli ultimi 50 anni, è il simbolo di ciò che è stata l'Italia in quegli stessi anni: una democrazia immatura, piena di compromessi e collusioni, corrotta fino al midollo, uno stato criminalmente organizzato se mi si passa il termine. Ed è questo stato che il processo Andreotti ha giudicato, con esiti devastanti.
Contrariamente a ciò che comunemente si pensa la sentenza non è assolutamente di assoluzione ma di "condanna prescritta": accerta collusioni, incontri, patti segreti tra uomini di stato e criminalità organizzata, fatti che presto fanno sbiadire i confini tra le due entità. Lo stato e la mafia appaiono indistinti, contigui in quella che può essere intesa come una trasversale gestione del potere politico mafioso. Un "Ritorno del Principe" di Macchiavellli come ha efficacemente scritto Roberto Scarpinato, un autore che questo sistema l'ha toccato da vicino nella sua attività professionale di magistrato.
Il processo Andreotti è stato il manifesto più efficace di questa realtà, che si svela e si rende conprensibile leggendo i suoi atti o le analisi fatte da Caselli, ben lontane dalle assoluzioni di ordinanza fatte nei salotti televisivi di Vespa.
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